ovvero quello che Tv e giornali non vi diranno mai :
Tsunami e Bertolaso.
Penso sia capitato a tutti di vedere in TV filmati raccapriccianti di terribili disastri naturali:terremoti, eruzioni vulcaniche, alluvioni, cicloni e tornados, in cui le forze della natura si scatenano in tutta la loro incontenibile forza distruttiva. All’osservatore queste immagini di impressionante violenza suscitano sgomento, paura, un assoluto senso di impotenza. Al confronto, il filmato di uno tsunami sembra una ripresa rallentata alla moviola: vedi il fronte del mare che si innalza come un‘onda qualsiasi e prende ad avanzare tranquillamente sul bagnasciuga verso l’entroterra. E’ inizialmente una visione senza patemi, ma poi subito ti accorgi che c’è qualcosa che non va. In realtà quella che sembrava una pacifica onda non si dimostra tale: avanza sempre, non si rifrange mai, non refluisce, continua imperterrita nel suo incedere. E’ un muro d’acqua senza fine che tutto travolge e sommerge, ma lentamente, in progressione, quasi con cauta circospezione. E vedi gli edifici crollare come castelli di sabbia, le auto prese e trasportate via come tappi di sughero, le barche ribaltate più e più volte e sbattute sui tetti delle case, la gente scomparire tra i flutti e non ti spieghi il perché di tutto ciò…..In effetti, lo tsunami è la forma più devastante di cataclisma naturale, ma anche la più subdola, perché ti prende senza furia apparente, te lo ritrovi addosso così, senza preavviso, ma provoca vittime e danni come nessun’altra calamità sulla Terra. Ma che cos’è e come si genera uno tsunami? E cosa si può fare per prevederne lo scatenamento e contrastarne i disastrosi effetti? C’è una considerazione da fare in via preliminare: il Signore, forse per farci scontare i nostri peccati, ci ha condannati a vivere su un pianeta la cui formazione non si è ancora compiuta. Questo è talmente vero, che l’età della terra si è potuta stabilire con una certa precisione solo nel 1953, con misurazioni del decadimento dell’uranio che permisero a Clair Patterson di fissare a 4,65 miliardi di anni fa la nascita del nostro pianeta. Un ragazzino paragonato all’Universo che ha quasi 14 miliardi di anni. Fossimo arrivati tra altri 3-4 miliardi di anni, avremmo trovato un pianeta al termine del suo ciclo evolutivo, cioè consolidato e tranquillo: niente eruzioni, niente terremoti, niente tsunami. Purtroppo siamo invece arrivati troppo presto, e quindi siamo costretti a subire le conseguenze di questa nostra fretta. Per ritornare allo tsunami, va subito detto che esso si propaga col meccanismo delle onde, ma che è un’onda molto particolare. In effetti le onde marine non sono altro che l’ increspatura della superficie del mare determinata da un’ unica causa: il soffiare del vento. Normalmente hanno altezza sino a qualche metro, si susseguono a distanza di una decina di metri l’una dall’altra e ad intervalli di qualche secondo. In un mare in tempesta le onde possono raggiungere anche dieci, venti o più metri di altezza, distano tra loro al massimo 150 m e si presentano ad intervalli di decine di secondi. Lo tsunami, parola giapponese che significa “onda del porto”, è invece un’onda a volte di altezza insignificante, ma di lunghezza di centinaia di chilometri e periodo di decine di minuti. La forza di un’onda marina è proporzionale al volume d’acqua che sposta. Le onde prodotte dal vento coinvolgono solo la superficie del mare per cui mettono in movimento volumi d’acqua relativamente modesti in rapporto delle dimensioni dell’ambiente in cui si propagano e terminano la loro corsa. Poi hanno carattere alternativo, cioè il fronte dell’onda si rifrange scaricando sulla costa il volume d’acqua trasportato, ma poi dà tempo a quest’acqua di refluire a mare sino all’arrivo dell’onda successiva. In altri termini, determinano effetti solo locali e quando si tramutano in mareggiate arrivano al massimo ad interessare la costa per qualche decina di metri. Lo tsunami non è generato dal vento, ma da eventi legati alla dinamicità ed alla fluidità del sottosuolo terrestre. Quattro miliardi e mezzo di anni fa la Terra era una palla di fuoco e tutti i suoi elementi erano allo stato fluido o gassoso. Ma poi ha cominciato a raffreddarsi, la sua superficie si è consolidata, mentre il nocciolo interno è rimasto tale e quale com’era. Ciò provoca quelli che sarebbero solo dei naturali ed innocui “assestamenti”, ma che noi, che qui ci abitiamo, avvertiamo e subiamo come eruzioni e terremoti, a volte disastrosi. Quando un terremoto ha epicentro nel mare, si può verificare il cedimento di vaste aree della piattaforma marina, e questa è la causa che dà origine agli tsunami più violenti. Immaginate voi, per fare un esempio, che in un fondale di 3000 m ci sia un improvviso sprofondamento di 10 cm del suolo marino. Sembra poco, ma tutta la colonna d’acqua soprastante l’area interessata dal fenomeno viene a sua volta sprofondata istantaneamente, ed è una massa d’acqua apocalittica, una colonna alta 3000 m appoggiata su un’area che può misurare centinaia di metri di larghezza ed avere un fronte di centinaia di chilometri. L’energia associata a questa enorme quantità d’acqua si trasmette alle colonne d’acqua ad essa limitrofe che a loro volta la scaricano verso zone sempre più distanti dall’epicentro. Si innesca così un meccanismo di propagazione dell’energia accumulata (energia potenziale che si trasforma in energia cinetica, per chi sa di fisica) difficilmente rilevabile, perchè interessa non la superficie, ma il mare in tutta la sua profondità. In superficie si vede poco o niente, una timida ed innocua ondina di qualche centimetro di spessore. Ma è il segnale di una massa d’acqua spaventosa che arriva a muoversi a velocità paragonabili a quelle di un aereo di linea, tra i 500 ed i 1000 km/h. Quando arriva in prossimità della costa, questo moto di avanzamento viene fortemente rallentato dall’attrito su un fondale che diviene sempre meno profondo, sino a velocità di qualche decina di km/h. Sembra un fatto positivo, ma invece è la causa che scatena l’implacabile forza con cui lo tsunami tutto travolgerà a terra. Ricordiamoci dell’enorme volume di acqua interessata dal fenomeno. In prossimità della costa il volume disponibile per contenere tutta questa massa d’acqua si riduce, per cui l’onda che era di qualche centimetro si ingrossa raggiungendo l’altezza di qualche metro e andando ad interessare fronti sempre più vasti della costa. Questa volta è l’energia cinetica che si trasforma per molta parte in energia potenziale. E’ un’onda che avanza a 60 km/h e che non finisce mai, perché è lunga decine, centinaia di chilometri, e che non dà tregua, non concede intervalli di respiro e riflusso perché dura senza soluzione di continuità per decine di minuti. E finchè dura, lo tsunami nulla perde della sua forza distruttrice, tenuta sempre viva com’è dall’acqua che ancora sta in altomare, ma che preme per farsi spazio anche lei, per arrivare a riva. Lo tsunami del 26 dicembre del 2004 che sconvolse il sud-est asiatico causando quasi trecentomila vittime e la distruzione di migliaia di centri abitati, si propagò dalla Thailandia al Madagascar, dall’India all’Indonesia, ed interessò perfino il Corno d’Africa e la penisola arabica. Date un’occhiata all’atlante e rendetevi conto…Che si può fare per salvaguardarci da questa calamità naturale? In pratica niente. Qualsiasi difesa attiva sarebbe inefficace, a meno di pensare ad argini alti una decina di metri o più, con spessori da Muraglia Cinese a proteggere tutte le coste di tutti i paesi rivieraschi dell’Indiano e del Pacifico….. L’unico rimedio sono le difese passive. Da una parte mettere in piedi un sistema sofisticato di avvistamento degli tsunami. Questo è costoso e complicato e richiede sensori localizzati nelle profondità del mare, a migliaia di metri sotto il pelo dell’acqua, perché come abbiamo detto, in genere in superficie non ci sono segni atti a permettere di individuare uno tsunami. Sono sensori che vengono interrogati solo dopo la rilevazione di un terremoto, per stabilire, in base ai valori dei parametri misurati, se si è generato un maremoto, eventualmente provvedendo ad allarmare le zone interessate. Ma abbiamo detto pure che gli tsunami si propagano a 1000 km/h. Se l’epicentro sta a 3000 km dalla costa, si può sperare di avere un preavviso di tre ore per evacuare la popolazione. Ma se l’epicentro sta a 200 km dalla costa……E poi bisognerebbe fare quello che è clamorosamente mancato all’Aquila nel 2009 e continuerà a mancare a tutti se la nostra Protezione Civile non si adeguerà alle esigenze della gente, eh Bertolaso? Adesso giochi a bocce, ma mi sa che lo facevi pure prima…. All’Aquila è semplicemente successo che all’alba del giorno del terremoto nessuna delle 60.000 persone scioccate dal disastro, sapesse dove raccogliersi; dove portare i feriti; dove trovare i farmaci salvavita; dove andare a bere; dove trovare un pasto; come comunicare con parenti ed amici; dove trovare il latte, gli omogeneizzati ed i pannolini per i bambini; chi sorvegliava le case abbandonate (sciacallaggio..), come fare a prendere almeno le cose più a portata di mano; dove sistemarsi per la notte, dove poter chiedere e dare informazioni. Nessuno sapeva niente, neanche quelli che indossavano il pettorale della Protezione……”Forse giù a Piazza d’Armi ci stanno dei medici ed un pediatra….”, “ No macchè provate a Porta Napoli, forse lì…” “ Ma no, a Porta Napoli pare che hanno messo una mensa da campo..” E parliamo di un posto ad alto rischio tellurico, per mesi interessato da un preoccupante sciame sismico. In questo scenario di assoluta e colpevole sottovalutazione a che serve vantarsi che il primo TIR sia partito da Roma a soli 30 min dall’evento? In queste situazioni è determinante che la popolazione sia addestrata ai comportamenti post evento, testati in periodiche simulazioni. Che si evitino panico ed il congestionamento delle vie d’accesso, organizzando preventivamente una serie di siti equipaggiati per le emergenze, dove accogliere gli sfollati ed erogare tutti i servizi necessari, nonché centri per l’informazione e le comunicazioni, tutti ben indicati su mappe aggiornate distribuite alla popolazione. Ecco, sono partita dall’onda assassina e sono arrivata all’Aquila. La lingua batte dove il dente duole. Ma prima o poi a qualcuno gliene dovrò raccontare quattro a modo mio. Siamo a più di 2 anni dal terremoto: i tedeschi vanno come treni nella ricostruzione di Onna (dove fucilarono 17 innocue persone…); gli americani sono vicini a completare la fedele ricostruzione della cupola del Duomo, per restituirla al suo antico splendore; noi, a parte quattro casette di Biancaneve ed un albergo (ma giocano a Monopoli ?…), nulla abbiamo ancora fatto. Chissà se quando si sarà stabilito il sesso di Ruby, poi se ne potrà parlare per una decina di minuti dell’Aquila…… Che vergogna!
Ciao a tutti, Caelsius.
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