Replica sui giovani

 

 

Ciao Mikuz, comprendo benissimo la tua amarezza e voglio dirti che ti sono vicina e che sento tanta rabbia in me per questa situazione di perenne precariato in cui versano i giovani. Poi io ho 17 anni, non è che questi problemi non mi sfiorino. Il senso del mio intervento è che se vogliamo cambiare le cose bisogna rompere con gli schemi del passato. Ancora nel 1975 il debito pubblico in Italia era zero lire. Ora ci ritroviamo con 1838 miliardi di Euro di debiti a fronte di una ricchezza prodotta, cioè il PIL, di 1600  mdi €. Ognuno di noi, immigrati regolari o clandestini inclusi,  ha sulla testa 30.000 € di debiti da pagare. Per noi che in famiglia siamo in 5 fanno 150.000 €.  Noi ci ritroviamo in queste condizioni perché dal 1975 si è speso troppo e male, perché l’economia è stata gestita in modo clientelare, perché una volta ricevuto il posto fisso, e sorvoliamo sul come, chi se ne frega del resto, l’importante è che a fine mese mi sia accreditato lo stipendio e che nessuno possa pensare di licenziarmi. Politici a parte, la maggiore responsabilità ce l’hanno proprio i sindacati dell’epoca, che ai tempi delle vacche grasse hanno privilegiato una politica cieca del “tutto e subito”, per i quali i datori di lavoro, i “padroni” come li chiamavano loro in senso spregiativo, erano biechi individui da tartassare e punire. Hanno sempre “difeso” e rimpinguato le buste paga di quei fortunati che lavoravano a scapito della creazione di ricchezza e di altri posti di lavoro. Non si sono mai chiesti che cosa sarebbe successo a lungo andare della competitività delle imprese. Non hanno favorito l’accumulazione di riserve di capitale nelle aziende da destinare all’innovazione tecnologica, a migliorare le reti distributive, la qualità dei prodotti, la produttività: “Che ce frega, che l’azienda è nostra? E’ der padrone” Peccato che poi il padrone, vista l’aria che tirava, abbia  cessato l’attività, oppure che abbia smontato tutto e trasferito la fabbrica in Indonesia, in Polonia, in Romania. I sindacati hanno sfruttato, in combutta con certe aree politiche, un istituto encomiabile e di notevole valenza sociale come la Cassa Integrazione, introdotto con insospettabile lungimiranza niente meno che dal regime fascista, per sovvenzionare coi soldi della collettività aziende “amiche” cotte e decotte, carrozzoni fatiscenti e senza mercato, ed una pletora di Enti Inutili, solo per mantenere i privilegi di quelli che dentro a quelle scatole vuote percepivano lauti stipendi, e per “sistemare” i rampolli dei politici e di pseudo-imprenditori  faccendieri imparentati con la politica, loro conniventi. Pochi si rendono conto di un fatto: sino al 1989, sino a quando il mondo è stato diviso in due tra l’Occidente ed i Paesi cosiddetti Socialisti, l’Italia rivestiva una notevole importanza strategica perché era il più importante paese di frontiera sulla cortina di ferro. Le Grandi Potenze per decenni ci hanno aiutato, ci hanno perdonato tutto, hanno fatto finta di niente. Arrivavano Andreotti, Craxi, Forlani o chi vi pare e buttavano il ricatto sul tavolo: “Si vero amici d’Europa, ma la nostra è una situazione delicata, l’opposizione è forte, bisogna avere una certa elasticità con noi….” Ma con la caduta del Muro di Berlino i nodi sono venuti al pettine. Ci hanno presentato il conto. Da lì in poi in tutti i consessi internazionali ci hanno costretto ad osservare le regole di una società civile aperta, a cominciare dal controllo della spesa pubblica, ed a sistemare tutta una serie infinita di indicatori socio-economici, giuridici e  legislativi. Son finiti i tempi delle spese allegre, delle commesse facili, dell’arraffa tu che arraffo io. Come si fa a stare in Europa, col debito che ci ritroviamo, un sistema pensionistico che fa acqua da tutte le parti,  un sistema produttivo logoro ed antiquato, con il trasporto merci  per il 90% su gomma, con un sistema giudiziario in cui una causa civile per una lite condominiale dura 15 anni? Allora è chiaro che bisogna cambiare, non si può sperare di continuare a barcamenarsi copiando quello che hanno fatto quelli che stanno alla Camera ed al Senato da 50nni e che ci hanno rovinato, a noi giovani. Che ci possiamo aspettare da gente che non sa accendere un pc, che non sa usare il cellulare, che vede le nuove tecnologie come eccentriche diavolerie da guerre stellari, per i quali le attività on line sono riti misteriosi di fanatici adepti di sette clandestine, ma che si comprano l’Audi 8 coi soldi dello Stato perché l’Audi 6 ce l’ho da 10 mesi ed è obsoleta. I parlamentari italiani dovrebbero essere costretti a fare quello che fanno spontaneamente i deputati danesi a Copenhagen: andare alla Camera a piedi od in bicicletta, non in Audi o Mercedes con la scorta appresso. E se vai in bicicletta e la gente per strada ti può mettere le mani addosso…vogliamo scommettere che non rubi, non fai l’assenteista, lavori per la comunità e non per il tuo interesse privato? Se ne devono andare, ma prima devono fare una cosa: creare gli strumenti e le condizioni per un immediato inserimento delle giovani leve in un sistema produttivo corretto. Questo significa che quando dicono: l’emergenza sanità….i conti pubblici……la scuola…..l’ambiente, i rifiuti…..le pensioni…..è chiaro che so tutte emergenze, ma non sono in questo momento quelle prioritarie, e glielo dobbiamo gridare in faccia in tutti i modi che c’è solo un’ emergenza: il lavoro dei giovani. E non solo per dare loro la possibilità di costruirsi una esistenza, ma per cambiare il modo di fare le cose, la logica con cui si fanno e cercare di risanare il Paese dalle fondamenta. Ed in questa politica, non c’è posto, non ci deve essere posto per i lavativi, pure se sono giovani. Sono sicura che se ci impegniamo ce la possiamo fare. Voglio sperare che tra 1000 parlamentari, li troviamo, dai! 100 che siano d’accordo con noi e disposti ad aiutarci. Ce la possiamo e ce la dobbiamo fare. Questo penso.

Ciao, Caelsius.