ovvero quello che Tv e giornali non vi diranno mai :

I disoccupati? Tutti imprenditori!

Leggiamo e le cifre sono impietose : il tasso di disoccupazione nella UE si conferma a livelli record anche per il 2011, cioè attorno al 10 %. Ma ciò che più allarma è la sua distribuzione per paese. Esso si mantiene a livelli fisiologici, 2-3% in paesi come l’Olanda o la Norvegia, passa al 12% in Francia e supera il tetto del 20% in Spagna. L’Italia col suo 9% sembra uno dei meno peggio tra i membri della Comunità Europea, ma non è così. Intanto tra i “non disoccupati” sono contati i precari a tempo determinato che non hanno certezze circa il rinnovo del contratto; poi quelli che il lavoro stanno per perderlo; ed infine anche quelli che non risultano disoccupati solo perché, dopo tanto cercare un lavoro, si sono stufati di andare in giro a raccogliere pietose promesse sempre disattese, e non risultano più iscritti negli elenchi degli uffici di collocamento. Poi, se vai a vedere, oltre il 30% dei disoccupati sono giovani in cerca di un primo lavoro, la metà buona dei quali sono concentrati nel Sud. Dopo l’Italia dei “bamboccioni”, adesso scopriamo l’Italia dei “nullafacenti”, dei giovani inutili, che non lavorano, non studiano, non hanno interessi, che non fanno niente. Quello che è in crisi, forse irreversibile, è il mito del posto fisso. I profondi cambiamenti prodotti negli ultimi 20 anni dall’introduzione capillare dell’informatica e la globalizzazione dei mercati hanno inciso profondamente su struttura ed organizzazione del mondo del lavoro. La disperata ricerca di elevati standard di produttività ha comportato razionalizzazioni e ristrutturazioni che hanno imposto grandi sacrifici ai lavoratori. Si sono affermati concetti come attività in outsourcing, sinergie produttive, lavoro interinale, che hanno modificato il quadro tradizionale ed imposto l’adozione di nuove schematizzazioni delle attività produttive, che però richiedono tempi lunghi, profonde modificazioni culturali ed almeno un ricambio generazionale per essere collaudate ed assimilate. Persino una attività insospettabile come quella della pubblica assistenza sanitaria si è dovuta adeguare. La maggior parte del personale paramedico ed ausiliario ormai non dipende più dagli ospedali (attenti:adesso li chiamano Aziende Sanitarie….) in cui opera, ma è consorziato in cooperative ad essi esterne. La domanda è allora: nel frattempo, cosa si può fare per restituire una speranza, qualche concreta prospettiva, un futuro ai giovani “nullafacenti”? Non è vero che i giovani siano svogliati, pigri ed incapaci: quando sono messi alla prova rispondono bene e con grande entusiasmo e si dimostrano all’altezza della situazione più di quanto sia lecito aspettarsi. Penso alle bellissime iniziative realizzate ad esempio in Sicilia, Campania e Calabria, ma non soltanto là, da giovani riuniti in cooperative che agiscono nei settori dell’agricoltura, del turismo, dell’edilizia, dei servizi utilizzando i terreni, i cantieri ed i beni confiscati alla malavita organizzata. Tutti piccoli imprenditori che non gravano sulla collettività, che anzi si rendono utili ad essa, producono reddito, pagano le tasse dovute ed alimentano l’asfittico sistema pensionistico nazionale. Ecco, forse questa potrebbe essere la strada. L’imprenditoria giovanile, una valvola di sfogo per restituire la speranza ed un futuro a centinaia di migliaia di ragazzi disperati. Il posto di lavoro se lo possono inventare e mantenere da soli, la fantasia e la buona volontà non mancano, basta solo dargli una piccola mano, non ostacolarli, rivalutare il ruolo dell’imprenditore e dell’artigiano nel sistema produttivo nazionale. Già, ma cos’è un imprenditore, questo sconosciuto? Per alcuni è una sorta di sanguisuga, uno che sfrutta il prossimo, un degenerato senza scrupoli che approfitta della tolleranza di società borghesi troppo permissive per arricchirsi indebitamente. Per fortuna molti di quelli che la pensavano così sono stati definitivamente sepolti dagli uomini e dalla storia sotto le macerie del Muro di Berlino nel novembre dell’89. Lo spirito di iniziativa e la disponibilità al rischio, le crescenti difficoltà del management per muoversi in mercati fortemente competitivi, la capacità di cogliere l’innovazione tecnologica, sono qualità riconosciute che hanno oggi fortemente rivalutato anche agli occhi dei meno attenti la figura dell’imprenditore. Per dirla con Luigi Einaudi, grande economista piemontese e secondo Presidente della Repubblica Italiana - il primo eletto direttamente dal popolo - possiamo constatare che in tutto il mondo milioni e milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, ostacolarli, scoraggiarli. È una vocazione naturale a spingerli, una positiva visione della vita, non soltanto la sete di guadagno. Il compiacimento, l'orgoglio, la gioia di vedere la propria azienda prosperare, gli impianti ampliarsi e divenire sempre più efficienti e sofisticati, guadagnare credito in giro, ispirare fiducia ad una sempre più vasta platea di clienti, creare occasioni di lavoro con un crescente impiego di risorse umane, costituiscono formidabili incentivi al progresso, altrettanto potenti che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali, spesso per ritirare utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e più comodamente ottenere con altri impieghi. Io sono rimasta molto impressionata, un giorno, per il modo in cui il nostro amico di tornei pollena mi ha riferito della sua attività di imprenditore. Non ha esordito parlandomi del suo fatturato, nè del margine operativo lordo che riesce a spuntare. Non mi ha descritto i suoi prodotti, non mi ha parlato dei suoi problemi quotidiani o delle incongruenze delle relazioni industriali; semplicemente, ha tenuto a sottolineare due aspetti che mi hanno profondamente colpita: che l’azienda se l’è fatta da solo, con le sue proprie mani, cosa che fa trasparire tutto il suo legittimo e sano orgoglio di uomo e di libero imprenditore. E poi che lui dà lavoro a 16 dipendenti, ovvero che si sente responsabile di assicurare un’esistenza dignitosa ad altre 16 famiglie, oltre che alla sua. Io credo che lui non rinuncerebbe mai a questa intima soddisfazione morale, indice di grande disponibilità verso gli altri e di ammirevole sensibilità, e che ad essa sarebbe disposto a sacrificare qualche parte del profitto, perché nulla è più gratificante della sincera riconoscenza, del rispetto, dell’apprezzamento degli altri per la propria persona e per quello che si fa. Per nostra fortuna, in Italia di pollena ce ne sono tanti. Sono loro la forza economica trainante del nostro Paese, il tessuto connettivo del nostro sistema industriale, una delle poche cose del sistema produttivo italiano che gli altri paesi europei ci invidiano. Grandi industrie nazionali si sono imposte all’estero grazie all’inventiva, all’iniziativa, alla capacità di piccoli imprenditori come pollena nel fornire materiali, componenti e semilavorati che conferiscono grande qualità ai nostri prodotti finiti, permettendoci di recuperare a livello internazionale una competitività complessiva altrimenti pregiudicata da un sistema fiscale assurdo e penalizzante per la nostra produzione. Genialità e creatività del nostro design poi fanno il resto. Molti si preoccupano della Cina, del suo PIL che cresce in doppia cifra ogni anno. Quando a forza di vendere quantità apocalittiche di cianfrusaglie a tutto il mondo in Cina ci saranno milioni di nuovi miliardari, quanto abbigliamento, quanti arredi, quante Ferrari e Maserati, quanti yacht di lusso per i quali siamo leader mondiali, quanto vino, quanti prosciutti di Parma e S. Daniele quanti soggiorni al mare e nelle città d’arte gli venderemo? No, io non mi preoccupo affatto della Cina. Mi preoccupo solo se vedo che nel nostro Paese la piccola e media imprenditoria non viene tutelata, favorita, incoraggiata e sostenuta. C’è la legge 95/1995 che intendeva favorire la creazione di imprese da parte dei giovani. In effetti essa ha favorito più la nascita di piccole società di servizi che ti spiegano (a pagamento….) come utilizzare la legge, che a promuovere l’imprenditoria giovanile. Ci sono finanziamenti e contributi a fondo perduto dei Comuni, delle Province, delle Regioni, dello Stato. Poi ci sono i contributi settoriali europei, poi gli iter burocratici da seguire. Chi si avventura in questo campo spesso finisce per ritrovarsi in un ginepraio. Ci vorrebbe il varo di una legge quadro, cioè di una legge che sia riferimento unico e chiaro per l’avvio di iniziative imprenditoriali che vedano coinvolte specialmente, ma non soltanto, giovani leve. Penso anche a quelli più grandi, 40-50 anni, che sanno fare, ma si ritrovano improvvisamente in cassa integrazione, in mobilità, licenziati, col mutuo da pagare ed i figli da crescere…... Ci vorrebbe la creazione di una Agenzia capace di indirizzare, guidare ed assistere i novelli imprenditori in modo semplice e lineare nell’avvio di nuove attività, dotata di adeguata disponibilità di strumenti legislativi, finanziari e fiscali. Una Authority che agisca non solo in ambito nazionale, ma coordinata a livello di Comunità Europea. Per dire una banalità, se sai fare il pizzaiolo, ci dovrebbe essere a livello istituzionale qualcuno che ti suggerisce di aprire un Pizza a Taglio a Copenhagen, piuttosto che a Lione o a Catania. E bisognerebbe fare qualcosa anche per recuperare il ruolo insostituibile degli artigiani, sgravandoli da tutta una serie di vessazioni economiche e fiscali che di fatto impediscono la continuazione di nobili attività ormai in via di estinzione. Nella strada in cui abito a Roma c’è un provetto restauratore di mobili antichi. Ha 65 anni, lavora in un piccolissimo laboratorio, ormai più per passione che per necessità. Non sta neanche tanto bene e da un momento all’altro temo che dovrà cessare l’attività. Un giorno gli ho chiesto perché disperdere il tesoro di conoscenze, di esperienza, di arte che ha nelle mani. Gli suggerii di mettersi un paio di volenterosi garzoni intorno. Lui mi spiegò che quando era ragazzino, il mestiere se lo imparò proprio così, facendo il garzone alla pari: lui aiutava il principale gratis, e questi gli insegnava il mestiere gratis. Oggi è tutto cambiato. Se vedono uno a bottega arrivano gli ispettori del lavoro e se non stai in regola ti rovinano….Per stare tranquillo, lo devi pagare a tariffa sindacale, con tanto di assicurazione, ferie, malattia, tredicesima, tasse e contributi sociali. E concluse : “ E io poi come magno?” Manca una cultura, una politica diretta a favorire l’apprendistato e l’artigianato come è stato nelle migliori tradizioni del nostro Paese. Giotto e Raffaello, prima ancora che eccelsi pittori, erano artigiani, con tanto di botteghe dove si sono forgiati decine di allievi a loro volta divenuti valenti artisti. E i signori di allora non li torchiavano con tasse a balzelli, ma li coccolavano, li elogiavano e li trattavano bene, perché potessero esprimere la loro arte senza che fossero distratti dalle preoccupazioni del quotidiano. Oltre ad una adeguata politica globale di incentivazione fiscale, agli artigiani manca pure il sostegno economico indispensabile a condurre una qualsiasi attività, cosa questa che dovrebbe rientrare nei compiti e nella ragione sociale di molte banche nazionali. Già le banche, te le raccomando queste in Italia. Nella recente tempesta finanziaria che ha travolto istituti finanziari di primaria importanza un po’ dappertutto, ma soprattutto negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, qui da noi giornali e Tv hanno mostrato un certo compiacimento nel sottolineare come il sistema bancario italiano sia uscito praticamente indenne dalla buriana. Certo, in Italia il piccolo credito non esiste, non ci sono strumenti specifici a sostegno dell’artigianato, né della piccola-media impresa, nè per incentivare i consumi. In Italia il credito è solo speculativo. Ti prestano i soldi solo se puoi dimostrare che “hai da perdere”, se puoi offrire garanzie che superano di gran lunga le dimensioni del finanziamento. Se al titolare di una piccola impresa artigiana che già paga le rate del mutuo di casa, del laboratorio, del televisore e dell’auto serve una piallatrice verticale per ampliare la propria capacità produttiva, in banca il prestito non glielo concedono, la risposta è che è già troppo esposto. Però poi se va alla finanziaria controllata dalla stessa banca…, gli dà 500 € di apertura pratica, si sottopone ad un TAEG del 26 % ed accetta l’accensione di una seconda ipoteca sulla casa, allora magari i 30.000 € glieli danno. Oppure ci si può sempre rivolgere agli “amici”, a quelli che i soldi te li danno subito e senza storie, al 200 % al mese di interesse….. In USA, o in altri paesi nordeuropei, se hai un’idea, anche solo espressa sulla carta, che appare brillante e convincente, ne trovi cento di banche, non solo disposte a finanziarti, ma addirittura desiderose di farlo e che ti mettono a disposizione veri esperti di settore per aiutarti nello start-up dei tuoi progetti. E se ti compri la casa il mutuo non è una sorta di grazia ricevuta. Certo, qualche rischio le banche statunitensi od inglesi lo corrono. Per aiutare tutti finisce che qualche esposizione si tramuti in sofferenza, che prima o poi abbiano un prezzo da pagare per questa politica spregiudicata. Ma è un prezzo piccolo, che il loro “sistema paese” può permettersi di pagare in rapporto al fatto che poi si ritrovano che comunque le giovani coppie una casa la trovano, che comunque l’economia tira, che i consumi e la fiducia della gente crescono, che il PIL sta al 4%. Noi ci ritroviamo che, in un quadro socio-economico a dir poco demoralizzante, i conti delle banche però sono in ordine…..Il famoso traguardo del milione di nuovi posti di lavoro in effetti potrebbe non essere una utopia se ai buoni propositi si aggiungessero efficaci strumenti di intervento. L’immediato propone sfide affascinanti nel campo dell’approvvigionamento energetico, dell’utilizzo razionale delle risorse, della programmazione di uno sviluppo sostenibile, del riassetto e della tutela del territorio, dello smaltimento e del riciclaggio dei rifiuti, della resa di servizi atti a migliorare la qualità della vita. Perché non affidarle ai giovani mettendoli in condizione di agire per il meglio? Tutto sommato il mondo è loro, sono loro che dovranno viverci dentro nel futuro più immediato, anche se di questo i degenti dei reparti geriatrici di Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama sembrano non rendersi conto. E’ questa la vera emergenza nazionale, predisporre da subito un graduale, ma massiccio inserimento dei giovani nel sistema produttivo di questo martoriato Paese che non sia il solito improduttivo posto fisso al ministero, alla Provincia, al Comune. Si diano alle giovani leve gli strumenti per gestire il proprio futuro, indirizzare lo sviluppo, creare quella ricchezza che ora non c’è e che una volta disponibile, allora sì che avrà senso discutere su come meglio distribuire. Quelli che hanno speso più di quanto avrebbero dovuto, indebitandosi ed indebitandoci sino al collo, che hanno inquinato l’ambiente a volte in modo irreparabile, che non sanno che pesci prendere sulla politica energetica, che non hanno nessuna idea sul futuro che ci aspetta, abbiano almeno il coraggio di affidarsi ai meno compromessi. I giovani non potranno fare peggio di loro ed il minimo che possano fare è di dargli una mano a porre rimedio ai loro disastri. Voi che leggete che ne dite? Questo mi pare un argomento importante e mi piacerebbe che qualcuno esprimesse la sua opinione in merito, in modo da poterci fare tutti insieme un’idea di come la pensa la gente comune, quella che poi questi problemi li vive quotidianamente sulla propria pelle. Fatemi sapere: avete a disposizione il guest book della Lega, o potete contattarmi ai tavoli. Grazie.

Ciao a tutti, alla prossima. Caelsius